Dobbiamo eterna riconoscenza alle grandi figure che hanno lasciato
la loro impronta nella filosofia e nella pedagogia italiana del '900:
Giovanni Gentile e Benedetto Croce
, divisi dalla politica, ma concordi in un
sacro disprezzo verso le cose e le persone che non capivano
. Ora sappiamo che l'uomo eletto
privilegia la filologia alla termodinamica, e ama pensare al mondo senza
abbassare la testa per osservarlo.
Questi uomini ci hanno insegnato
, e il loro insegnamento perdura nei nostri programmi scolastici,
a mandare i nostri spiriti migliori nei licei classici
, dove le lingue e i pensieri dei
nostri padri plasmeranno la loro forma mentis
rendendoli cittadini di grande levatura
,
pronti a imitare Pericle nel guidare le sorti della Nazione
, e a relegare negli istituti tecnici
e nelle facoltà scientifiche le menti subumane.
Sappiamo fin dalla più tenera età che il linguaggio ci serve per ragionare,
mentre la matematica è un male necessario, conseguenza del commercio
,
e la si impara discutendo di rubinetti che gettano acqua in vasche bucate
.
E oggi noi italiani siamo in grado di dire a testa alta:
“la tecnologia, la scienza, la ricerca non sono cosa nostra.”
A uomini come Gentile
, e al disprezzo che hanno diffuso verso figure
altrimenti luminose nel panorama mondiale,
va ascritto un solo merito:
aver reso l'italiano
una lingua particolarmente fortunata. Non parlo delle indiscutibili doti di musicalità e
della comoda ridondanza della sua fonetica, dell'ortografia ben definita e della grammatica
passabilmente semplice e regolare. Non parlo nemmeno della facilità con cui un mio moderno
connazionale può leggere un poeta del 1200 (che ci provi, un inglese, a fare altrettanto).
Tutte queste caratteristiche erano già ben consolidate nella nostra lingua fin dai tempi del Manzoni.