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L'Italia, la cultura scientifica e la lingua.
19 aprile 2009

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Dobbiamo eterna riconoscenza alle grandi figure che hanno lasciato la loro impronta nella filosofia e nella pedagogia italiana del '900: Giovanni Gentile e Benedetto Croce
, divisi dalla politica, ma concordi in un sacro disprezzo verso le cose e le persone che non capivano
. Ora sappiamo che l'uomo eletto privilegia la filologia alla termodinamica, e ama pensare al mondo senza abbassare la testa per osservarlo. Questi uomini ci hanno insegnato
, e il loro insegnamento perdura nei nostri programmi scolastici,
 a mandare i nostri spiriti migliori nei licei classici
, dove le lingue e i pensieri dei nostri padri plasmeranno la loro forma mentis
 rendendoli cittadini di grande levatura
, pronti a imitare Pericle nel guidare le sorti della Nazione
, e a relegare negli istituti tecnici e nelle facoltà scientifiche le menti subumane. Sappiamo fin dalla più tenera età che il linguaggio ci serve per ragionare, mentre la matematica è un male necessario, conseguenza del commercio
, e la si impara discutendo di rubinetti che gettano acqua in vasche bucate
.
E oggi noi italiani siamo in grado di dire a testa alta: “la tecnologia, la scienza, la ricerca non sono cosa nostra.”
 

A uomini come Gentile
, e al disprezzo che hanno diffuso verso figure altrimenti luminose nel panorama mondiale,
 va ascritto un solo merito: aver reso l'italiano una lingua particolarmente fortunata. Non parlo delle indiscutibili doti di musicalità e della comoda ridondanza della sua fonetica, dell'ortografia ben definita e della grammatica passabilmente semplice e regolare. Non parlo nemmeno della facilità con cui un mio moderno connazionale può leggere un poeta del 1200 (che ci provi, un inglese, a fare altrettanto). Tutte queste caratteristiche erano già ben consolidate nella nostra lingua fin dai tempi del Manzoni.

 La
 vera
 fortuna dell'italiano
, conseguenza dei nostri disgraziati programmi scolastici,
 è un lessico la cui vastità non ha eguali nel mondo, un vocabolario nel quale troviamo parole etimologicamente correlate, ma di significato completamente diverso, quali topo e mouse, posta e mail, adolescente e teen-ager.
Qualcuno potrebbe dubitare dell'“italianità” di alcuni dei lemmi che porto come esempio; eppure li sento usare tutti i giorni senza provarne alcun fastidio. Anzi: la nostra lingua li assimila senza fatica. Assegna loro un genere solitamente univoco: “un bug nella routine ha causato un crash del server della mail”. Un toscano potrebbe dire “ora bucchemàrco questa pagina uèbbe”: chi oserebbe dubitare dell'italianità di tutto ciò?

Mi è accaduto di ripensare all'utilità di queste estensioni lessicali leggendo un libro di fantascienza britannico. Nella traduzione italiana, ad un certo punto lo scrittore ci riferisce che il protagonista, dotato di impianti cibernetici, rifiuta la stretta di mano con un interlocutore. Tale informazione non ha alcun senso nel contesto in cui si svolge l'azione. Se il traduttore avesse veramente svolto il proprio lavoro, avrebbe scritto che il protagonista rifiutò lo handshake con l'interlocutore, lasciando invariata la parola inglese.

L'inglese, infatti, preferisce estendere al contesto scientifico e tecnologico molti termini comuni: la stretta di mano (handshake), che nella vita comune inizia un protocollo che vede l'interazione di due persone, è metafora di interazioni che avvengono tra macchine, anche se queste non hanno mani e si limitano a scambiare dati. In italiano, la stretta di mano è limitata al contesto sociale; lo handshake a quello tecnologico
; la posta è quella dei francobolli, la mail quella delle chiocciole; l'apprendimento riguarda il greco antico, il learning l'informatica. Questo rende ogni frase italiana una miniera di dati contestuali: la frase “ho fatto un backup” è pronunciata dall'informatico pauroso, mentre “ho fatto un sostegno” identifica il carpentiere o il maestro elementare
. In inglese, la differenza non esiste.

 Un grazie sentito a tutti coloro che, instillando nelle nostre menti un italico disprezzo verso l'osservazione del mondo e delle sue leggi, ci obbligano ad arricchire il nostro lessico di termini che gridano la nostra altera estraneità verso tutto ciò che riguarda la scienza e la tecnica. 
 
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